mercoledì 9 gennaio 2008

La gente pensa, ragiona e risponde.

Pasquale Cicchetti (Oneiros) è uno studente di cinema neolaureato conosciuto sulle pagine di Monza la città; per me una sorpresa molto positiva. Ha accolto l'invito e ha commentato il mio appello. Trovo il suo intervento molto interessante, quindi lo metto qui in evidenza.
Come al solito, i grassetti sono miei.

Per prima cosa, credo sia onesto precisare che sono l'ultimo arrivato. Alle mie spalle non c'è né mestiere, né esperienza, né militanza, se escludiamo i cinque anni spesi nella trincea liceale di piazza Trento e Trieste. Perciò prendi le mie considerazioni per quello che sono: opinioni buttate giù ascoltando Joan Baez.

Il giornale che vorrei assomiglia molto a quello che descrivi tu, anche se probabilmente la mia immaginazione grafica è meno precisa: con qualche coloritura pastello, à la Linus dei primi anni, per capirci.

Terrei quindi come riferimento i cinque punti di Vittone, per quanto la sua idea dell'imparziale concerto dei savi mi convinca poco: come tu stesso hai scritto domenica, la politica è uno strumento con cui affrontare argomenti, e - aggiungo io - decodificarli, farne problema, riconoscerne le matrici sociali e culturali.
Un lavoro di questo tipo si pone fuori dal problema dell'equa ripartizione delle teste, soprattutto se - sono molto d'accordo con te su questo punto - consideriamo la realtà dei network sociali per come si sono sviluppati oggi. L'idea di dover sempre opporre il nero al rosso e il rosso al nero, altrimenti si plagia la gente, mi ha stancato. La gente pensa, ragiona: oggi può anche prendere parola e rispondere. L'emancipazione dei media passa anche da qui, non credi?

Metterei quindi da parte tutto il filone del discorso che guarda alla forma quotidiano, le cui analisi - condivisibili - tirano verso un'area di professionalismo e di cronaca quotidiana che rispetto, ma che sono altra cosa da quello che stiamo discutendo.

Terrei buona invece l'osservazione di Mojoli: qualla di fare rete, oggi, è una necessità. Lo impone, per così dire, l'organizzazione spaziale del sistema. Certo, occorre prima crearsi un'identità riconoscibile, una ragione: e qui recuperiamo le tre domande di Arcari, che riformulo così: quale identità dare a questa rivista?

La questione rimane aperta. Probabilmente, dovrebbe rispondere chi conosce questa terra e la sua gente meglio del sottoscritto. Ma non voglio essere vigliacco, per cui mi butto: io vorrei leggere una rivista sferzante, lucida, acuta, capace di leggere la realtà applicandole paradigmi culturali moderni, consapevolmente europea, aperta al dibattito e alla critica. Niente cronaca e niente politica da conferenza stampa, ma l'occhio attento alla società civile, se ancora esiste.

Ben vengano quindi gli interventi autorevoli, purché dibattuti e non semplicemente accolti. Anche sulla redazione stabile sarei d'accordo, ma sulle implicazioni finanziarie di queste scelte sono poco competente, e mi fermo.

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