mercoledì 27 febbraio 2008

Mousse. La qualità paga e non si paga

Essere indipendenti e avere successo. È possibile. È successo a Mousse. Un ottimo freepress (mensile formato tabloid tipo quotidiano) che tratta solamente arte contemporanea e che nel giro di un anno e mezzo è passato da poche migliaia di copie e meno di 50 pagine distribuite solamente a Milano, a 40.000 copie e circa 120 pagine bilingue distribuite in giro per l'Italia e non solo. Il solito giornaletto impataccato di notizie liofilizzate e lanci di agenzia? neanche per incubo. Articoli lunghi, interviste e tanta attenzione e cura. Riporto alcuni passaggi dell'intervista rilasciata a Undo.net da uno dei direttori, Alessio Ascari.

Cosa limita in qualche modo la libertà di scelta di una rivista?

Limiti ce ne sono tanti. Per cominciare, le difficoltà economiche che una rivista indipendente per forza di cose ha: se fossimo un pò più ricchi potremmo fare un sacco di cose che abbiamo in mente ma che non possiamo realizzare per motivi banalmente economici. Quindi sì, sicuramente il budget di una rivista indipendente impone dei limiti. Però è anche vero che questi limiti in certi casi possono avere un effetto benefico, diventare degli stimoli: sai che devi fare una cosa con un budget limitato e così ti ingegni, tiri fuori dei piani B, delle soluzioni non scontate e magari nuove... Dalla componente economica per esempio è scaturita la scelta di fare un giornalaccio, un tabloid stampato su una carta da due soldi, che però poi alla fine è gratuito, il che non è mai male.

Cosa intendi per rivista indipendente?

È semplice. Una rivista indipendente è una rivista che non ha un editore alle spalle. Quando c'è un editore che mette dei capitali e che quindi - non per forza, ma molto spesso, diciamo quasi sempre, succede così - finisce per influire più o meno direttamente sui contenuti, la rivista non è più indipendente. Nel nostro caso, per fortuna e purtroppo, noi siamo editori, direttori, collaboratori di noi stessi, e quindi dipendiamo solo ed esclusivamente da noi stessi. Poi c'è l'attitudine, lo spirito, lo sguardo: più si è liberi dai condizionamenti (di qualsiasi tipo essi siano) e più si è agili. L'indipendenza e l'agilità vanno insieme.

Qual'è il rapporto con il territorio su cui operate? Nonostante Mousse abbia un registro alto e una portata internazionale, c'è sempre uno sguardo e una stretta relazione con il territorio di Milano.

Milano è la nostra città, la rivista è nata a Milano, i primi numeri sono stati distribuiti solamente a Milano: quindi l'impronta per forza di cose c'è. Allo stesso tempo, forse è antipatico dirlo, credo che per quanto riguarda le istituzioni private, come le gallerie e le fondazioni - per le istituzioni pubbliche si apre tutto un altro discorso - Milano sia la città dove succedono le cose più interessanti e di respiro più spiccatamente internazionale. E quindi ci viene naturale, per una questione di vicinanza fisica e poi per una vicinanza in un certo senso spirituale, avere un occhio di riguardo per la nostra città. Niente di male, infondo. Se succedesse a Napoli o a Roma o in qualunque altro posto nessuno penserebbe a una forma di snobbismo, credo.

In che modo una rivista può porsi come strumento di critica e riflessione?

In moltissimi modi. Per quanto ci riguarda, ti risponderei partendo dal formato che abbiamo scelto: molto povero, un giornalaccio come dicevo prima; un format molto democratico, a tiratura alta e distribuzione gratuita. Fin dall'inizio l'idea è stata giocare sulla duplicità - in modo un pò subdolo, se vuoi, ma divertente; volevamo dare al pubblico una rivista che si distinguesse per i contenuti di qualità e si proponesse come piattaforma di approfondimento vero e proprio, e allo stesso tempo fosse condita e impacchettata in modo accattivante e molto pop, per rendere il più appetitoso e digeribile possibile il messaggio (i messaggi!) che volevamo lanciare. Se ci fai caso, infatti, nonostante l'apparenza disinvolta e "leggera", Mousse è fatto più che altro di approfondimenti: ossia, poche news e tanti articoli lunghi, sui quali bisogna fermarsi e che richiedono di essere letti davvero.

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