lunedì 4 febbraio 2008

Ivan il possibile.

L'intervento di Ivan Commisso è dedicato a coloro che hanno dubbi sulla possibilità di vita di una rivista di "questo" tipo. A Carta libera avevo già accennato qualche settimana fa come ad un esempio concreto (per 5 anni e più di 100 numeri) a cui io stesso ho potuto partecipare.
Sto seguendo da qualche tempo le vostre “evoluzioni”. È stato Antonio, mesi fa, a segnalarmi questa piacevole discussione online. Vedo che siete arrivati al momento di definire cosa volete fare e come, partendo da un perché. Boh, non sono mai stato una mente. Mai avute capacità intellettuali per disegnare grandi cose. Vi racconto la mia, è più semplice. Quattordici anni fa, un gruppo di ragazzi più grandi di me mi invita a una serata in cui si sarebbe discusso di un progetto editoriale: un giornale cittadino fuori dagli schemi da far nascere. Non mi conoscevano se non per interposta persona, gli era bastato il mio generico interesse per l’idea. Ci ritroviamo in una ventina. C’erano gli entusiasti, i grintosi, i timidi, i silenziosi, gli scettici e gli scettici a prescindere. Storie diversissime ma un comune sentire: il provare a raccontare quel che accadeva in città (ossia raccontare la propria vita) da una prospettiva diversa, stimolante, divertente. Un po’ quello che mi pare stiate tentando di fare voi.
Mettemmo su un giornale da zero: grafica, articoli, revisione bozze, raccolta pubblicitaria, corse in tipografia. Ognuno scriveva di quel che sapeva o di cui era interessato e, nonostante ciò, non siamo mai stati cacofonici. Bastava ritrovarci ogni settimana per la riunione di redazione e drizzare le antenne di quel nostro comune sentire che ci legava per trovare automaticamente la sintonia (e mi pare che pure voi di sintonia ne abbiate non poca). Quello stimolo (o bisogno?) che ci univa si tradusse in un linguaggio tutto nostro, un approccio riconosciuto, una forte identità che durò più di cento numeri e dura tuttora in altre forme. E non era poi nemmeno così faticoso portare avanti il progetto, perché quel che facevamo ci piaceva, piaceva (e doveva piacere) per primi a noi, non avendo alcuna velleità messianica o catartica. Il bello era che più i numeri del giornale piacevano a noi, più piacevano ai lettori. Questo racconto per dirvi che non so quale forma espressiva sia più consona per quello che provate e vi lega, ma vi consiglierei di non volare bassi, di non essere timorosi. Io, al posto vostro, un bel pensiero a una curata rivista su carta lo farei. Non si tratta di fisica nucleare, né di produrre chissà quali immani sforzi. Ma vuoi mettere il gusto di avere tra le mani un oggetto in tre dimensioni, frutto della vostra testa e dei vostri sforzi, che vi piace? È, nemmeno troppo paradossalmente, più facile a farsi che a dirsi.
Buon lavoro Ivan Commisso

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