Essere indipendenti e avere successo. È possibile. È successo a Mousse. Un ottimo freepress (mensile formato tabloid tipo quotidiano) che tratta solamente arte contemporanea e che nel giro di un anno e mezzo è passato da poche migliaia di copie e meno di 50 pagine distribuite solamente a Milano, a 40.000 copie e circa 120 pagine bilingue distribuite in giro per l'Italia e non solo. Il solito giornaletto impataccato di notizie liofilizzate e lanci di agenzia? neanche per incubo. Articoli lunghi, interviste e tanta attenzione e cura. Riporto alcuni passaggi dell'intervista rilasciata a Undo.net da uno dei direttori, Alessio Ascari.
Cosa limita in qualche modo la libertà di scelta di una rivista?
Limiti ce ne sono tanti. Per cominciare, le difficoltà economiche che una rivista indipendente per forza di cose ha: se fossimo un pò più ricchi potremmo fare un sacco di cose che abbiamo in mente ma che non possiamo realizzare per motivi banalmente economici. Quindi sì, sicuramente il budget di una rivista indipendente impone dei limiti. Però è anche vero che questi limiti in certi casi possono avere un effetto benefico, diventare degli stimoli: sai che devi fare una cosa con un budget limitato e così ti ingegni, tiri fuori dei piani B, delle soluzioni non scontate e magari nuove... Dalla componente economica per esempio è scaturita la scelta di fare un giornalaccio, un tabloid stampato su una carta da due soldi, che però poi alla fine è gratuito, il che non è mai male.
Cosa intendi per rivista indipendente?
È semplice. Una rivista indipendente è una rivista che non ha un editore alle spalle. Quando c'è un editore che mette dei capitali e che quindi - non per forza, ma molto spesso, diciamo quasi sempre, succede così - finisce per influire più o meno direttamente sui contenuti, la rivista non è più indipendente. Nel nostro caso, per fortuna e purtroppo, noi siamo editori, direttori, collaboratori di noi stessi, e quindi dipendiamo solo ed esclusivamente da noi stessi. Poi c'è l'attitudine, lo spirito, lo sguardo: più si è liberi dai condizionamenti (di qualsiasi tipo essi siano) e più si è agili. L'indipendenza e l'agilità vanno insieme.
Qual'è il rapporto con il territorio su cui operate? Nonostante Mousse abbia un registro alto e una portata internazionale, c'è sempre uno sguardo e una stretta relazione con il territorio di Milano.
Milano è la nostra città, la rivista è nata a Milano, i primi numeri sono stati distribuiti solamente a Milano: quindi l'impronta per forza di cose c'è. Allo stesso tempo, forse è antipatico dirlo, credo che per quanto riguarda le istituzioni private, come le gallerie e le fondazioni - per le istituzioni pubbliche si apre tutto un altro discorso - Milano sia la città dove succedono le cose più interessanti e di respiro più spiccatamente internazionale. E quindi ci viene naturale, per una questione di vicinanza fisica e poi per una vicinanza in un certo senso spirituale, avere un occhio di riguardo per la nostra città. Niente di male, infondo. Se succedesse a Napoli o a Roma o in qualunque altro posto nessuno penserebbe a una forma di snobbismo, credo.
In che modo una rivista può porsi come strumento di critica e riflessione?
In moltissimi modi. Per quanto ci riguarda, ti risponderei partendo dal formato che abbiamo scelto: molto povero, un giornalaccio come dicevo prima; un format molto democratico, a tiratura alta e distribuzione gratuita. Fin dall'inizio l'idea è stata giocare sulla duplicità - in modo un pò subdolo, se vuoi, ma divertente; volevamo dare al pubblico una rivista che si distinguesse per i contenuti di qualità e si proponesse come piattaforma di approfondimento vero e proprio, e allo stesso tempo fosse condita e impacchettata in modo accattivante e molto pop, per rendere il più appetitoso e digeribile possibile il messaggio (i messaggi!) che volevamo lanciare. Se ci fai caso, infatti, nonostante l'apparenza disinvolta e "leggera", Mousse è fatto più che altro di approfondimenti: ossia, poche news e tanti articoli lunghi, sui quali bisogna fermarsi e che richiedono di essere letti davvero.
mercoledì 27 febbraio 2008
Mousse. La qualità paga e non si paga
Pubblicato da larivistachevorrei alle 14:31 0 commenti
Etichette: Per esempio
sabato 23 febbraio 2008
La fabbrichetta del consenso
C'è un aspetto nella nascita della "rivista che vorrei" a cui guardo con molta attenzione e preoccupazione. È quello della relazione fra i contenuti, il lavoro di redazione e il sistema dei partiti e degli schieramenti, ovvero con quella che con una metonimia inflazionata chiamiamo "politica".
Nei giorni scorsi abbiamo accennato, sul blog e in riunione, al ruolo che dovrebbero avere coloro i quali hanno compiti e incarichi politico-amministrativi. Si è deciso di non porre alcun veto e mi pare giusto perchè altrimenti, di per sè, sarebbe stata solo censura preventiva.
Quello che - secondo me - invece deve restare fuori dalla rivista non è questo o quel nome. Quello che deve restare fuori è la logica che regge, per quel pochissimo che ne so, il sistema dei partiti. In quel microcosmo vige un criterio, quello del consenso, che è molto simile a quello che regge il mercato, le vendite. Rozzamante potrei dire che è "più bravo" un politico perchè raccoglie più consenso così come è "più bravo" un concessionario perchè vende più auto.
Un giornale come quello a cui stiamo lavorando, non di schieramento, non di partito, non commerciale, non vende auto e non raccoglie consenso. Per nessuno se non per se stesso. Mostra e dimostra quello che crede essere davvero interessante, come direbbe Chomsky «ha il compito di scoprire e di riferire la verità, non già di presentare il mondo come i potenti desiderano che venga percepito». Indipendentemente dal fatto che questo faccia vendere più auto o raccolga più consenso per un partito o per uno schieramento.
La logica "da schieramento" arriva a volere che se una notizia o un argomento, una narrazione non rende consenso, imbarazza, crea "attriti interni" non la si pubblica. Non vorrei, non voglio mai vedere nulla di simile nella rivista che vorrei.
Io so che questo è difficile da condividere e digerire per chi (prima o poi) si ritrova a fare i conti con il consenso, in una campagna elettorale o in una riunione di segreteria. Ma è bene che lo sappia.
Io so, perchè in venti anni di giornali e giornalini l'ho visto tante volte, che la ricerca del consenso fa brutti scherzi. Non ti fa dire pane al pane e vino al vino. Perchè quel pane e quel vino potrebbero urtare la sensibilità dei moderati, del ceto medio, dei centristi, dei credenti, dei compagni, dei pensionati, degli amici.
Chi ha a cuore più il consenso per uno schieramento che la genuinità del pane e del vino da offrire sul tavolo della pubblicazione, è meglio che cerchi spazio altrove.
La rivista che vorrei potrebbe portare troppi mal di pancia, troppi musi lunghi nelle segreterie e nelle sale riunioni.
La rivista che vorrei di queste precauzioni, attenzioni, sensibilità, equilibrismi, fintopluralismi se ne deve fregare.
Pane al pane e vivo al vino. Anche se per qualcuno sono indigesti.
Tanto per non andare lontano, non voglio più vedere certi tatticismi visti dentro "Monza la città" finchè ne ho fatto parte. Come non scrivere che il parroco di San Fruttuoso fa togliere i manifesti della festa dell'Unità, perchè dirlo potrebbe irritare qualche cattolico. Accontentare questo o quello, non scontentare quella o quelle. Perchè il rischio è quello di fare un giornale senza spina dorsale, facile a piegarsi al vento che tira.
Schiena dritta, l'umiltà di riconoscere i propri limiti, difetti ed errori quando ci sono, ma il coraggio delle proprie idee. Tutto il resto, equilibri ed equilibrismi e terrore da sondaggio restino fuori. Ci sono altri luoghi e altri momenti per tutto ciò.
La fabbrichetta del consenso ha già troppo spazio e tempo nella nostra vita. Io non ho nessuna voglia di offrirgliene neanche un altro po'.
Se a qualcuno non va bene, lavori al giornale che vorrebbe da un'altra parte. Oppure lo faccio io.
Pubblicato da larivistachevorrei alle 10:50 0 commenti
mercoledì 20 febbraio 2008
La frittata è fatta. Nasce la rivista!
La notizia è che si comincia davvero. Nella riunione di ieri sera abbiamo deciso di partire.
Ecco come e quando.
- Si fonda l'associazione culturale editrice. Nelle prossime due settimane si mette a punto lo statuto/carta dei principi che segna la linea editoriale generale. La quota per chi ha un reddito è di 100 euro (o più, le donazioni sono benvenute), per gli altri di 5 euro. Le quote formeranno il fondo cassa necessario a sostenere le spese di hosting ed affitto della sede per le riunioni, le spese per la registrazione della testata e le altre formalità necessarie. Tutti i soci fondatori godono dei diritti associativi (votano e possono essere eletti). Le iscrizioni successive dovranno essere approvate dai soci fondatori.
In questi giorni occorre dare comunicazione definitiva sulla volontà di diventare fondatori ed iscriversi.
- Chi ricopre incarichi politico-amministrativi può iscriversi.
- I soci sono chiamati ad esprimersi rapidamente presentando le proprie proposte per la carta dei valori, elencando i principi di riferimento da contemplare. Nella prossima riunione sarà approvato lo statuto.
- Il presidente/direttore sarà eletto dai soci.
- La rivista avrà cadenza mensile, si rivolgerà ad un ambito territoriale ma non rinuncerà ad affrontare, quando ne sarà capace, anche temi nazionali e oltre. Il criterio sarà l'incidenza che i temi hanno comunque sulla nostra quotidianità e la capacità di "dire qualcosa di intelligente a riguardo". Al nucleo di contenuti principale e mensile saranno affiancati strumenti adeguati a rendere la rivista attiva e vivace quotidianamente.
- Ai lettori sarà dato adeguato spazio per interventi, suggerimenti, commenti. I criteri per la pubblicazione o meno saranno semplici e palesi.
- La rivista, quando ne condividerà le finalità, parteciperà a battaglie civili e sociali e se ne farà promotrice.
- Sarà una rivista irriverente, indipendente e divertente (speriamo).
Riassumendo, nei prossimi giorni occorre fare:
- elenco delle adesioni
- completare le risposte del questionario
- redigere la bozza di statuto
- elenco delle ipotesi di nome
- elenco delle disponibilità degli autori
- bozza del numero zero
Avanti allora, cominciamo a divertirci.
Pubblicato da larivistachevorrei alle 09:07 0 commenti
Etichette: Proposte
lunedì 18 febbraio 2008
Poche semplici domande. RSVP
Per "portaci avanti" con il lavoro, ci sono alcune domande a cui prego tutti di rispondere con poche parole. Alcuni hanno già detto la propria, li prego di ribadire sinteticamente.
Replicate scrivendo una email a ilgiornalechevorrei (at) gmail.com oppure come commento qui di seguito.
- Hai delle idee per il nome della rivista?
- Hai intenzione di iscriverti all'associazione-editrice? Junior o senior?
- Pensi che chi ha incarichi politico-amministrativi possa diventare socio o no?
- Quali sono secondo te i valori e principi a cui la rivista dovrebbe fare riferimento?
- Concretamente, quanti contenuti e di che tipo pensi di assicurare ogni mese (articolo, intervista, commento, rubrica, fotografie, video...)?
- A quante riunioni puoi partecipare ogni mese e in quale giorno ti è più possibile partecipare?
- Pensi che la rivista debba affrontare temi nazionali/internazionali?
- Pensi che la rivista debba accogliere la discussione attraverso commenti e forum?
- Che ruolo e strumenti dovrebbero avere i lettori? I commenti/interventi anonimi vanno pubblicati o no?
- Pensi che la rivista debba essere militante, debba cioè fare proprie e/o partecipare a "campagne" e "battaglie" territoriali o nazionali come, ad esempio, la difesa della legge 194, la questione dei cartelli "Monza città della pace", "Cascinazza" eccetera?
- Elenca almeno 5 argomenti generali di cui la rivista dovrebbe occuparsi (es. ambiente, cultura...) e 5 in particolare (es. Parco di Monza, Pedemontana...)
- Cosa non vorresti mai vedere sulla rivista (che di solito vedi su altri giornali)?
- Cosa vorresti vedere sulla rivista (che di solito non vedi su altri giornali)?
Se pensi abbia dimenticato altre domande e vuoi suggerirle scrivimi e aggiorno il questionario.
Pubblicato da larivistachevorrei alle 09:17 10 commenti
domenica 17 febbraio 2008
La posizione di Casalini
Pubblicato da larivistachevorrei alle 12:05 0 commenti
Tigri di Carta
In attesa di vederci martedì sera presso il Fannullone (tutti invitati, rompiscatole e menagramo esclusi), segnalo due interessanti articoli pubblicati sull'ultimo numero del mensile Carta Etc e disponibili in pdf da scaricare.
Il primo è del direttore Pierluigi Sullo e parla dello stato di salute e delle prospettive della stampa "di sinistra" di fronte all'appiattimento politico e culturale e alle ataviche difficoltà economiche a cui vanno incontro tutti quelli che non si limitano all'informazione-intrattenimento. L'altro è di Sandro Provvisionato ed è un ritratto preciso e finalmente franco dei tanti Don Abbondio che firmano l'informazione italiana.
Carta non è semplicemente un giornale, ma un sistema informativo molto articolato. Ecco come si presenta sul suo sito:
«Carta è un mezzo di comunicazione sociale. Perciò informa e mette in comunicazione tra loro ambiti diversi della società civile in ogni modo possibile. I principali sono il settimanale e il mensile Carta Etc, a tiratura nazionale. [...] Trattano la vita dei movimenti sociali, che ai media liberisti non interessa, ma offrono anche grandi reportage, inchieste sociali, approfondimenti sui temi più importanti e le notizie dei Cantieri sociali».
Trovo magnifica la definizione "un mezzo di comunicazione sociale". L'informazione, senza tutte la prosopopea dell'obiettività e della neutralità, è comunicazione innanzitutto. Nel bene e nel male.
Pubblicato da larivistachevorrei alle 09:54 0 commenti
Etichette: Per esempio
giovedì 14 febbraio 2008
I confini della politica e di chi la fa
Ci scrive Sergio Civati, la questione è che ruolo possono avere nella rivista coloro i quali - come lui - hanno anche un incarico amministrativo e/o politico. Ecco il testo.
cari tutti
martedi' porssimo non ci sarò (..ho consiglio comunale)..ma forse per voi questa potrà essere una buona opportunità...
Mi spiego: sulla necessità di una rivista nel territorio, ho già detto la mia in positivo, pur avendo messo lì grosse questioni nell'ultimo incontro (monza-brianza, periodicità e on line, professionalità e volontariato)
Nell'ultimo incontro, ho colto in più persone il "disagio" di poter avere nella "compagnia" gente che fa politica..e su questo sarò franco ed esplicito, in modo che martedì ne possiate riflettere.
L' eventuale indicazione dei "fuori i politici fuori.." mi lascierebbe molto perplesso e contrariato..
Al di là della mia persona, quello che non condivido, è l'idea per cui l'indipendenza di una rivista debba essere il risultato di "una immagine" da dare (ma non eravamo noi quelli dei contenuti?..) e non determinato dal contenuto nel suo contenitore, dall'impegno e dalla serietà delle persone che vi fanno parte.
Di questi tempi ormai noi "cosidetti politici" siamo visti o come "casta" o come (in questo caso) "peste".... (l'affermazione è un po' forte ma da l'idea..)
Dopo aver tanto blaterato che il "tutto politica", il professionismo della politica. etc..sono uno dei mali delle persone che la fanno.. in realtà con queste eventuali scelte, si confinano le persone che hanno incarichi politici a far solo quello...e non sono visti come innanzi tutto cittadini (come io mi ritengo tale); cittadini che hanno una loro identità sociale, culturale e personale prima ancora che politica
Persone quindi che sono in grado di tenere separate funzioni e ruoli in altri luoghi (che mi sembra avere dimostrato in monza la città..); non vorrei che oltre che ai politici, di questo passo si volgia tagli fuori "la politica che fa male..". (è un film già visto recentmente..)
Mi sembra questa eventuale indicazione riduttiva, discriminante ed anche culturalmente conservatrice rispetto alla politica stessa che vogliamo tutti rinnovare
Io avevo già dato verbalmente disponibilità ad Antonio di curare spazi-rubrica riguardo al mondo giovanile (è stato il mio lavoro fino a pochi mesi fa) e sulla politica intesa come confronto e approfondimento plurale riguardo ai temi che l'attraversano (democrazia, cittadinanza, partecipazione, istituzioni etc.).
Mi rimetto a voi sulle proposte e sulle decisioni, una cosa deve essere chiara (per come io son fatto), se dovessi partecipare a quest'avventura lo vorrei fare con pari dignità e non come "ospite" tollerato.
Con franchezza e amicizia, buon lavoro per martedi'!
sergio civati
Pubblicato da larivistachevorrei alle 12:00 4 commenti
domenica 10 febbraio 2008
Nuovo incontro: martedì 19 febbraio. Il via definitivo?
Per il secondo incontro "offline" ci vediamo martedì 19 alle 21. Saremo ospiti de "Il Fannullone" in via Borgazzi 105 (qui la mappa). Molta carne al fuoco: la formazione dell'associazione culturale, i gruppi di lavoro, lo statuto... Come sempre porte aperte a tutti... rompiscatole e menagramo esclusi
Pubblicato da larivistachevorrei alle 10:44 3 commenti
È la stampa, bellezza
Fra informazione fastfood e ufficistampa travestiti da redazioni, l'attendibilità e la qualità dell'informazione si rivela per quello che è in una ricerca sui tanto osannati quotidiani inglesi "di qualità". Figuriamoci cosa verrebbe fuori facendo una indagine sui giornali nostrani. Da lsdi.it Quasi l’ 80% degli articoli pubblicati sui giornali nazionali di qualità del Regno Unito sono in buona parte fatti riciclando notizie di agenzia o comunicati stampa. E’ uno dei risultati di una recente ricerca realizzata dal Dipartimento di giornalismo dell’ Università di Cardiff, secondo cui – tra l’ altro – alcuni giornalisti di Fleet Street producono attualmente almeno tre volte in più di quanto facessero 20 anni fa. La ricerca – spiega un articolo su Press.gazette.com – ha rilevato che la maggioranza dei servizi contenuti nei giornali nazionali britannici sono realizzati in gran parte con materiali forniti da Uffici stampa o agenzie. In particolare sarebbero queste le proporzioni: The Times, 69 per cento; The Daily Telegraph, 68 per cento; Daily Mail, 66 ; The Independent, 65, e The Guardian, 52 per cento. Criticando aspramente quello che definisce “churnalism”*, Nik Davies, un esperto di media del Guardian, dice: “Ora più che in passato, siamo coinvolti in una produzione di massa di ignoranza perché le corporation e gli amministratori hanno tagliato gli organici, aumentato I nostri ritmi di lavoro e ci hanno definitivamente incatenato ai nostri desk”. Il “poco di giornalismo che produce la stampa”, commenta ancora Kaiser-Bril, “deriva dunque dal forte aumento del numero di articoli che il giornalista deve produrre. Risultato: del personale qualificato viene pagato per fare del copia-e-incolla e produrre articoli mediocri. Così Ci perdono tutti: i giornalisti, che non hanno più il tempo di fare il loro vero lavoro e agli editori che si ritrovano con tonnellate di invenduto”. Una volta di più questo esempio mostra che il problema della stampa non si limita a internet. Il web ha semplicemente messo fine all’ oligopolio che gli assicurava dei margini di profitto indebiti. L’ arrivo della concorrenza online mette i media tradizionali di fronte alle loro contraddizioni. Il contenuto che essi producono è semplicemente non competitivo. Unico problema: per cambiare modello e mentalità (cosa per cui sembra ci voglia molto tempo, stando a questa testimonianza di Howard Owens) ci vogliono soldi. Molti soldi. I giornali britannici ne ancora ancora un po’, visto che i tassi di profitto sono ancora vicini al 10%. In Francia – conclude Kaiser-Bril – il compito si annuncia più arduo. E da noi in Italia? —– * Da “churn out”, “produrre in grande quantità”. Vedi anche “Churnalism”, in Freemania, e “The difference between journalism and churnalism” (Guardian).
Una ricerca dell’ Università di Cardiff ha accertato che l’ 80% degli articoli dei giornali di qualità del Regno Unito sono prevalentemente fatti riciclando notizie di agenzia o comunicati stampa - E che alcuni giornalisti ora producono materialmente almeno tre volte in più di quanto facessero 20 anni faDal giornalismo al “churnalism”, produzione di massa di ignoranza
The Telegraph, Guardian e Times non hanno voluto commentare la ricerca, mentre PressGazette ha raccolto le reazioni nelle redazioni del Daily Mail e dell’ Independent che comunque, riporta Nicolas Kayser-Bril sull’ Observatoir des médias sono state del tipo: « Ah, ma noi no, noi non siamo così, forse gli altri».
Pubblicato da larivistachevorrei alle 10:20 0 commenti
Etichette: Per esempio
lunedì 4 febbraio 2008
Ivan il possibile.
L'intervento di Ivan Commisso è dedicato a coloro che hanno dubbi sulla possibilità di vita di una rivista di "questo" tipo. A Carta libera avevo già accennato qualche settimana fa come ad un esempio concreto (per 5 anni e più di 100 numeri) a cui io stesso ho potuto partecipare.
Sto seguendo da qualche tempo le vostre “evoluzioni”. È stato Antonio, mesi fa, a segnalarmi questa piacevole discussione online. Vedo che siete arrivati al momento di definire cosa volete fare e come, partendo da un perché. Boh, non sono mai stato una mente. Mai avute capacità intellettuali per disegnare grandi cose. Vi racconto la mia, è più semplice. Quattordici anni fa, un gruppo di ragazzi più grandi di me mi invita a una serata in cui si sarebbe discusso di un progetto editoriale: un giornale cittadino fuori dagli schemi da far nascere. Non mi conoscevano se non per interposta persona, gli era bastato il mio generico interesse per l’idea. Ci ritroviamo in una ventina. C’erano gli entusiasti, i grintosi, i timidi, i silenziosi, gli scettici e gli scettici a prescindere. Storie diversissime ma un comune sentire: il provare a raccontare quel che accadeva in città (ossia raccontare la propria vita) da una prospettiva diversa, stimolante, divertente. Un po’ quello che mi pare stiate tentando di fare voi.
Mettemmo su un giornale da zero: grafica, articoli, revisione bozze, raccolta pubblicitaria, corse in tipografia. Ognuno scriveva di quel che sapeva o di cui era interessato e, nonostante ciò, non siamo mai stati cacofonici. Bastava ritrovarci ogni settimana per la riunione di redazione e drizzare le antenne di quel nostro comune sentire che ci legava per trovare automaticamente la sintonia (e mi pare che pure voi di sintonia ne abbiate non poca). Quello stimolo (o bisogno?) che ci univa si tradusse in un linguaggio tutto nostro, un approccio riconosciuto, una forte identità che durò più di cento numeri e dura tuttora in altre forme. E non era poi nemmeno così faticoso portare avanti il progetto, perché quel che facevamo ci piaceva, piaceva (e doveva piacere) per primi a noi, non avendo alcuna velleità messianica o catartica. Il bello era che più i numeri del giornale piacevano a noi, più piacevano ai lettori. Questo racconto per dirvi che non so quale forma espressiva sia più consona per quello che provate e vi lega, ma vi consiglierei di non volare bassi, di non essere timorosi. Io, al posto vostro, un bel pensiero a una curata rivista su carta lo farei. Non si tratta di fisica nucleare, né di produrre chissà quali immani sforzi. Ma vuoi mettere il gusto di avere tra le mani un oggetto in tre dimensioni, frutto della vostra testa e dei vostri sforzi, che vi piace? È, nemmeno troppo paradossalmente, più facile a farsi che a dirsi.
Buon lavoro Ivan Commisso
Pubblicato da larivistachevorrei alle 09:42 0 commenti
Etichette: Per esempio
sabato 2 febbraio 2008
Pippo, Savićević e Muñoz
Caro Antonio,
[...] Rimango dubbioso sulla possibilità però di aprire una rivista così come tu la concepisci. A me piacerebbe tanto che si facesse un aggregatore di contenuti, per incominciare, proprio come fanno i blogger più bravi di me, o come fa BlogBabel di mestiere. Così vediamo quanta carne c'è sul fuoco, chi potrebbero essere gli interpreti della nuova iniziativa editoriale, chi scrive di Brianza e soprattutto perché lo fa. Potrebbe essere un buon inizio e una bella sassata nello stagno, nella terra da sempre individualista e diffidente dell'altrui attività (che sia imprenditoriale o letteraria, cambia poco...). Aggregaci, caro Antonio. E una mano te la darò volentieri. pippo
Come direbbe Nicola Frangione, la sollecitazione di Pippo Civati è acuta. Certo terrorizza quell'aggregaci, in tempi in cui le aggregazioni si sgretolano come merda al sole, seccando.
È stato Gimmi Perego, a dicembre, il primo a parlare di network «Mi viene spontaneo, allora, pensare più che ad un giornale centralizzato, ad una federazione, ad una rete. Di Blog, di siti di associazioni, di spazi per chi un sito non ce l'ha... Che una volta individuata una carta d'intenti comune lavorino in modo sinergico». Anche Primo Casalini più volte ha parlato di multiblog. Dico la mia, una ipotesi di questo tipo non mi fa sangue. Vuoi mettere l'adrenalina di decidere in cinque, in dieci, in quindici il timone del prossimo numero, scambiarsi le informazioni per azzannare al meglio gli argomenti, dividersi i compiti, ghignare dell'effetto che farà quel titolo o quella foto, l'ansia di chiudere in tempo...
Non ci posso far nulla, l'elaborazione collettiva mi pare ancora una sfida che vale la pena di affrontare. Rispetto assoluto delle singole personalità, ma le formiche il lavoro grosso lo fanno faticando tutte insieme. È per questo che da vent'anni mi chiamano Ant. Il network dei blog, il loro raccordo, l'elaborazione degli strumenti che li possano "aggregare" al meglio è, lo ammetto, una parte del progetto che ho in mente. Una parte importante perchè potrebbe attingere a realtà interessanti e vivaci. Ma dovrebbe restare una parte, il cuore (!) e la testa della rivista dovrebbe stare nella redazione.
Insomma sì, se non viene fuori niente di meglio si fa. Va bene anche vincere ai rigori. Ma se segna Savićević con il pallonetto da fuori area, allora è festa.
Non so se l'idea della rivista è velleitaria, utopica. Ma che "La politica è l'arte del possibile" ce lo ricordano da mane a sera pure i baci perugina ormai. A me il sorriso lo mette il poster di Josè Muñoz: "L'utopia è possibile perchè è l'arte della necessità".
Pubblicato da larivistachevorrei alle 22:42 11 commenti
Etichette: Opinioni a riguardo
venerdì 1 febbraio 2008
Bentornato
Più che vintage è proprio antico. Il nuovo/vecchio Diario è bellissimo, ridisegnato, sobrio, denso, un po' New Yorker un po' libro. Da oggi in edicola come quindicinale, così ci sarà finalmente tutto il tempo di leggere le sue 100 pagine (senza pubblicità). Costa 7 euro, ma la qualità non è un lusso. Se la rivista che vorremmo gli somigliasse, a me farebbe piacere.
Pubblicato da larivistachevorrei alle 11:47 1 commenti
Etichette: Per esempio